Cippi confinari




Sul crinale, a segnare i confini, si incontrano i cippi posati nel 1828 (cfr. Convenzione di Firenze del 27 novembre 1824) per porre fine ad una lunghissima controversia tra le popolazioni dell'alta valle del Taro e quelle della Val Magra: controversia che ha le prime radici in un privilegio che i pontremolesi pare avessero estorto con l'inganno all'Imperatore Federico II, e che si aggravò di molto quando le parti opposte diventarono due stati e cioè il Ducato di Parma e il Granducato di Toscana.


Una storia interminabile e plurisecolare di sconfinamenti, riconfinazioni, nuove violazioni ed asportazione dei termini nei confini fra Borgotaro e Pontremoli. La contesa ha evidentemente origine remota ma si usa datarla da quando Federico II Imperatore avrebbe concesso ai Pontremolesi una fascia del territorio oltre la cima dei loro monti, a cominciare dal luogo detto ‘Capramorta’ (Fontana di Cravamorta) o ‘Rio di Culazzo’ fino al Tarodine e quindi fino al Monte Gottero.

Privilegio che, dallo Statuto della Citta di Pontremoli (l’antica Apua capitale dei Liguri Apuani e successivamente Pons Tremulus) risulterebbe concesso nel 1276 quando Federico II era morto da oltre un ventennio; tale privilegio venne poi temporalmente riposizionato ad arte al 1226 ma, si obiettò, cadeva in un periodo in cui l’Imperatore era stato già scomunicato per cui l’atto poteva considerarsi affetto da nullità.




Ma tanto valse, pur attraverso vicende alterne, a che la pretesa dei pontremolesi continuasse a scontrarsi, per secoli, con la comprensibile opposizione dei borgotaresi. E questo fino al 1824.
Queste pretese e le fiere opposizioni avevano sì un fondamento geopolitico ma non bisogna dimenticare che nei bisogni quotidiani dell’uomo di allora avevano un ben diverso significato e ben diversa radice.

Sopravvivere in vicinanza di quei territori aspri e difficili, posti ai limiti della vivibilità, era infatti complesso: non si poteva consumare una manciata di fieno, era prezioso un fascio di rami da scalvatura, era vitale poter raccogliere legna secca per il focolare domestico, era irrinunciabile poter contare su un tronco di faggio in più per gli attrezzi da lavoro, erano insomma fondamentali molte delle cose che per noi, oggi, non hanno più alcun valore.
Questo per introdurre che la pretesa di ambedue le parti aveva anche un motivo profondamente umano: non erano tanto gli egoismi a scontrarsi quanto il bisogno di sopravvivenza che talvolta era soddisfatto anche con gli sconfinamenti nel territorio altrui.


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Detto questo passiamo ai confini, al loro significato, al loro valore.
Cum-finis: con un limite. Si intende con ciò una linea che segna con certezza un limite fra competenze politiche ovvero geografiche o più semplicemente proprietarie.
Il confine possiede una sua intrinseca carica di suggestione, stimola la fantasia dell’uomo e i suoi sentimenti migliori così come, purtroppo, anche i peggiori.
Cosa non farebbe l’uomo per i confini!
Pensiamo alla sacralità, civile, dei confini della Patria che delimitano un territorio ove vive una comunità avente storia e tradizioni condivise: questi confini oltre la delimitazione pratica ne portano spesso una più profondamente emotiva. E’ con i suoi sentimenti migliori che l’uomo ha combattuto in difesa dei confini della Patria, talvolta pagando con la vita. Sicuramente di minor valore ma di affine natura e comunque degni di rispetto sono i confini proprietari fra privati.
Confini fra poderi, boschi o prati per il mancato rispetto dei quali nascono discordie talvolta destinate a durare per generazioni. Confini per i quali anche persone perbene, che mai si sarebbe detto, stavolta però animate dai propri sentimenti peggiori, ancora oggi si abbassano a violare nascostamente. E non certo per bisogno e quindi palesando così la loro indole meschina o rapace.
Il confine è simbolo di civiltà, rappresenta il passaggio da una società primitiva dove tutto era di tutti, ma più propriamente di nessuno, ad una visione più ordinata ed evoluta dal punto di vista sociale, giuridico, organizzativo ed economico.
E infine, il confine non è necessariamente chiusura, esclusione e scontro bensì incontro fra uguali, a ben guardare diversi solo per sfumature: abbiamo infatti visto prima come fossero uguali per bisogni i parmigiani e i pontremolesi.
Dai confini fra grandi competenze a quelli fra minuscoli appezzamenti di terreno, a segnarli fisicamente ci sono da sempre i termini in pietra: pietre sulle quali si voleva vigilasse il Dio Terminus (dapprima espressione di Giove, quindi autonoma divinità romana).
Chi violava i confini, nel diritto romano, era colpito dalla ‘sacertas’ in quanto aveva commesso una infrazione che addirittura si considerava violasse la ‘pax deorum’. Nella condanna del colpevole era usata la formula ‘Sacer esto’.
Terminata la digressione ritorniamo al contenuto della pagina per dire che questa si propone di dare una vista d’insieme della linea confinaria fra Emilia Romagna e Toscana, nel nostro territorio, e di consentire l’identificazione e il posizionamento dei singoli cippi.
La numerazione indicata rappresenta il progressivo ufficiale del cippo.



I Termini di Confine che abbiamo preso in considerazione in questa pagina sono quelli più significativi per il nostro territorio e cioè per i comuni di Albareto, Borgo Val di Taro e Berceto. Sono cioè la più parte di quelli che dividevano il Ducato di Parma dal Granducato di Toscana, in particolare abbiamo mappato a partire da un luogo particolarmente significativo: la Foce dei Tre Confini luogo, tra l’altro, di passaggio della antica Via Regia. Il luogo è detto ‘ dei Tre Confini’ perché vi convergono tre diverse dividenti. Da qui partiva la linea confinaria fra Repubblica di Genova e Granducato di Toscana ma partiva pure un’altra serie di termini posti a dividere il Ducato di Parma dal Regno di Sardegna. Iniziava quindi l’altra serie di cippi a delimitare il Ducato di Parma dal Granducato di Toscana: sono quelli posati nel 1828 (Convenzione di Firenze del 27 novembre 1824) e dettagliati nella pubblicazione dell’Atto Finale in data 7 gennaio 1829.


Partiamo quindi dal cippo 1 detto ‘dei tre confini’ al Passo della Colla per giungere al termine 80 al Passo della Cisa, proprio a ridosso della casa detta del Rifugio. Dopo l’atto finale del 1829 resterà autorizzato solamente uno sconfinamento in favore dei Pontremolesi e cioè ‘...la facoltà di far legna da ardere nei boschi del Toccherio’ concessione però espressamente limitata ‘...alla scalvatura e diramazione delle piante.’


L’individuazione dei boschi interessati è affidata ad appositi cippi contraddistinti dalla scritta ‘Lignatico’.
Ricordiamo che le immagini così come le descrizioni si devono al lavoro di ricerca di Michele Dellapina, Direttore del Consorzio Comunalie Parmensi che ha ripercorso la linea di crinale con Dario Spagnoli e successivamente alle fotografie e agli approfondimenti ad opera di Bruno e Barbara Ostacchini di Valdena.