Antica Strada: una via per la Cisa

Di Baselica si dice, tra l'altro   "...  posta sull'antica strada di Linari che conduceva al Passo della Cisa ".



E’, questa, una di quelle indicazioni che si presta a significare molto oppure molto poco, a seconda di quello che si vuole sostenere. Ciò a prescindere dal fondo di verità del quale pare davvero difficile dubitare. Intorno al concetto di 'antica strada' quindi, e riguardo la sua destinazione occorre fare qualche semplice considerazione. Quando si parla di Via Francigena ci si riferisce, correttamente, alla 'via maestra' con il suo percorso che ben conosciamo. E' fuorviante però trascurare o escludere dagli antichi cammini quella miriade di sentieri 'tributari' che a un punto del tracciato principale della via Francesca conducevano. Sentieri che talvolta si sostituivano l'uno all'altro per la necessità di aggirare frane o di evitare briganti. Bisogna cioè tener presente che l'Appennino ha sempre avuto un sistema viario con delle direttrici sulle quali confluivano sistemi micro-viari di appoggio.

E' in questa dimensione che deve essere collocato il significato intrinseco della affermazione "..antica strada che conduceva al Passo della Cisa".



"Viandanti o malfattori, pastori o pellegrini, uomini in cerca di sogni o mercanti per i loro commerci han percorso strade e mulattiere lasciando tracce che spesso non sappiamo più riconoscere."


Il percorso dal fondovalle

Partendo da Baselica vecchia  - molto più a valle di quella attuale - erano almeno due i percorsi possibili per andare a Linari e venivano scelti sulla base della necessità di tappe intermedie. Il più plausibile e diretto portava a  La Costa (attuale ubicazione della frazione di Baselica) quindi si dirigeva a La Breia  e seguiva la Strada di Breia che tornava per brevissimo tratto sulla via per Costerbosa  per confluire appena dopo il Casone nella Strada di Linari. La prima tappa successiva era Montedonico poi, forse, quasi nulla fino Linari.

·        Breia
E' alla fine dell'attuale abitato di Baselica che troviamo ancora oggi una grande costruzione in bella pietra del luogo - recentemente restaurata con pazienza e sapienza da Nevio Zucconi con l'aiuto di Carlo e di Bruno - che non porta certo a pensare ad una umile dimora ma piuttosto ad un fabbricato signorile o religioso. Breia (dal termine longobardo 'braida' che significava 'pianura' ) potrebbe essere stata il centro di una tenuta.  Interessante riguardo al toponimo è come 'braida' fosse passato poi ad identificare un 'podere' legato in genere alla colonizzazione monastica (v. anche Giulia Petracco Sicardi " La storia della Valtaro alla luce della toponomastica - 1979 " pag.18)

·        Montedonico
Continuando, la strada sale più rapidamente per giungere a Montedonico,  posto su di una altura dalla quale si domina agevolmente il territorio circostante e la viabilità di accesso dal fondovalle.  Qui si può notare ancora una grossa costruzione il cui nucleo principale, magari precedentemente rimaneggiato più volte, potrebbe essere coevo o anteriore a quello di Breia.    Montedonico deriva verosimilmente da Mons Dominici nel significato di quella parte (altura) che il signore, il 'dominus', riservava a sè ragionevolmente per la posizione strategica che bene possiamo apprezzare. Un luogo perfetto quindi per un caposaldo, una torre difensiva o di avvistamento per controllare la destra orografica del Cogena occupata dai Longobardi di Parma e la sinistra Taro dove erano i Longobardi provenienti da Piacenza.

Dopo Montedonico, come abbiamo detto, si andava ormai verso il 'limes' verso la terra di confine.



Si saliva senza incontrare altri edifici sulla strada se non quello della località denominata Bliffera (toponimo del quale mancano notizie) o, appena discoste, piccole altre costruzioni di natura incerta.



Si puntava a Linari ma poco prima di arrivare , c’era e c’è ancora Strada della Ceresa che abbandona la via principale per puntare al confine con la Toscana.

Da quello che si può ancora vedere seguendone ove possibile il percorso, la Strada della Ceresa aveva un fondo importante e pur senza raggiungere l’accuratezza delle strade romane, era ben lastricata con grossi massi che in taluni tratti sono ancora parzialmente visibili. Anche la larghezza era di tutto riguardo, ben più ampia delle comuni mulattiere, superava infatti sempre i 2 metri.
Questo tracciato costituisce una sorta di bretella che conduceva allo ‘stradone’. Il percorso tagliava il cantone quarto di Linari puntando alle Spadene, piegava leggermente verso i Lagassi e ne superava il rio, quindi attraversava il Rio delle Arole e continuava. Giunto alle sorgenti del Torrente Cogena attraversava per andare oltre. Poco dopo questo attraversamento però, dal percorso principale si distaccava un nuovo tracciato, proprio quello del cosiddetto ‘stradone’ – ancora oggi usualmente denominato Strada Vicinale della Macchia - che si dirige ad est mentre Strada della Ceresa continuava a salire in direzione Sud per arrivare sul crinale a Bocca di Malzapello. La Strada della Macchia – ovvero lo stradone o “stradone del sale” – a cui è appena stato fatto cenno è quella che conduce al passo: si snoda più o meno a metà fra la piana dei Porcari e la Piana del Laghetto, si avvicina al Monte Grotta Mora quindi attraversa - vicino alla sorgente - il Rio dell’ Olmo Grosso, incrocia poi la strada della Bastia per continuare all’interno del territorio bercetese correndo poi – nell’ultimo tratto – proprio sul filo del confine regionale fino a giungere al Passo della Cisa esattamente dietro il Santuario della Madonna della Guardia.


Seguendo invece la via principale si giungeva a Linari e la strada grande terminava. Terminava dove ancora oggi si vede la fine del muro del chiuso.
A cominciare da qui diventava più sentiero che mulattiera, puntava a salire in quota seguendo il sud. Si dirigeva verso Caselle Bruciate e superato il Rio delle Scorzere andava nella parte più centrale dei Lagassi per poi congiungersi con Strada della Ceresa e seguire il percorso già delineato verso la via di crinale che portava al passo di Monte Bardone, l'odierna Cisa. Ecco un altro dei tanti sentieri appartenenti alla rete micro-viaria che confluiva sulla via "maestra" Francigena, in questo tratto via di Mons Langobardorum.
La direzione Passo della Cisa era una delle possibili – forse la principale - ma senza mai dimenticare che i sistemi micro viari erano molteplici e la Lunigiana era raggiungibile anche senza servirsi della Strada della Macchia per passare dalla Cisa ma anche seguendo Strada della Ceresa fino a scollinare nella zona di Bocca di Malzapello.
 

  

 

Quella lama di origine incerta

Fra le cose ritrovate in zona  c'è un 'pugnale' di foggia assai singolare. Si tratta di una lama ad un solo tagliente, con la guardia forgiata in guisa di croce.

 

Dapprima sottovalutata, una volta pulita e osservata con attenzione ha  suscitato più di qualche curiosità  per la sua forma che non ne consente una immediata catalogazione nei tipi più comuni e conosciuti. In prima ipotesi la si riteneva di possibile origine medioevale, altri pareri la ricondurrebbero al periodo longobardo.

Brevi considerazioni sull'oggetto

La presenza di un codolo e una guardia robusti induce a considerane il possibile utilizzo come arma e la lunghezza attuale della lama non è significativa perchè molto probabilmente si è ridotta.  La rottura di una lama lunga infatti era un danno più che apprezzabile per cui si riutilizzava sempre la spada spezzata come arma corta. Se dovesse effettivamente trattarsi di un'arma, la presenza di un solo tagliente porta a pensare ad una lama longobarda perchè il più conosciuto 'scramasax'  era caratterizzato dall'avere un unico tagliente. Questo nonostante vi siano anche esempi di 'spatha in ferro a due taglienti' di origine longobarda (v. es. Museo Archeologico di Arsago Seprio- VA). Che la guardia simboleggi la croce, e che ciò non sia casuale, pare abbastanza difficile dubitarne. Però da questo a ipotizzare somiglianze con le linee dei bracci della crux longobarda ce ne passa: anche nel medioevo ma pure nei periodi successivi si trovano infatti disegni del tutto analoghi. Abbastanza somigliante infatti è anche il disegno di guardia riproposto  nella daga in dotazione alla Guardia Civica dello Stato Pontificio nel periodo 1847-1849.

L'incavo sul dorso posto ad inizio lama è invece la nota più singolare.

 
Potrebbe aver rappresentato un ausilio ad un particolar modo di impugnare specialmente se l'uso era promiscuo arma/utensile. Questo incavo però potrebbe avere avuto funzione di scolasangue. Siamo abituati a sentir chiamare, talvolta impropriamente, scolasangue quella scanalatura che si trova sul fianco di lama di alcuni coltelli o baionette con principale funzione di alleggerimento. Questo potrebbe invece essere un vero e proprio scolasangue perchè una volta che la lama è tutta conficcata nel corpo del nemico, la minore sezione del tratto terminale lascia libera una parte della  ferita aperta e consente così di far uscire più sangue.

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