I Luoghi e le emozioni

"Quell'angolo di terra più degli altri mi sorride"
"Ille terrarum mihi praeter omnis angulus ridet"
(Orazio)


Linari, è un piccolo vecchio borgo inserito in un contesto di singolare fascino.
Il ritorno all'insediamento stabile è avvenuto a partire dalla seconda metà dell'800, in un ambiente reso ormai difficile, quasi ostile all’uomo per il secolare abbandono. Gente alla quale la determinazione evidentemente non faceva difetto è ritornata a popolare Linari ad esercitare una agricoltura eroica: pochi sentieri, mezzi di trasporto rudimentali, attrezzi agricoli fabbricati a mano con pochi strumenti, scarse materie prime, grandi sacrifici, tanti sassi nella terra povera, lunghi inverni con tanta neve e spesso tanta fame.
Nonostante ciò e forse senza avvedersene, giorno dopo giorno hanno messo mano alla rinascita ambientale di questo lembo di terra di confine facendola ridiventare un luogo dove si poteva avere voglia di vivere.

Ecco spiegato il cartello che accoglie i viandanti all’altezza del bosco vecchio che rammenta: “E infine, abbiate rispetto dei montanari, sono loro che hanno custodito questo territorio lavorando duramente e abitandolo anche nei momenti più difficili.”
E’ avvenuto così, che nel silenzio solenne delle selve di Linari, sono ritornati gli uomini con i loro animali, sono ritornati i bambini con i loro giochi e i loro sorrisi che facevano primavera, sono ritornate le mamme e le nonne con l’operosità femminile. E’ stato così che parte della macchia ritornava ancora domestica. Linari aveva nuovamente un’anima e i sentimenti del luogo facevano la corte ai sentimenti dell’uomo.
Erano gli anni del lungo pontificato di Papa Pio IX , erano gli anni dell’unità d’Italia.



Il territorio
Il nome identifica estensivamente il territorio compreso fra due canali e precisamente il Rio della Brugna ad ovest e il Rio degli Strinati a levante. Canali che portavano ricca acqua da mulino come possiamo vedere seguendone lo sviluppo fino a valle.



Nella rappresentazione grafica che precede possiamo osservare i limiti ovest-est della parte centrale del cantone quarto all’inizio del 1800, confini costituiti dai due canali citati in precedenza; possiamo anche notare come l’attuale Rio di Linari non figuri e questo perché di formazione relativamente recente.



L’uomo e le sue mura
Poco prima di giungere al canale di Linari, dirigendosi a sud si imbocca Strada della Ceresa, anche questa fondamentale nella viabilità che portava al Passo e della quale si parlerà oltre. Percorrendo breve tratto sulla strada della Ceresa si giungeva a "Ca' d'Camoien' dove l'originaria costruzione a più corpi contigui - con abitazione permanente - era stata terminata intorno al 1890 da Belli Francesco, artigiano del legno di provenienza bergamasca e conosciuto per l'abilità con la quale costruiva pale da mulino.





Il territorio collocato dopo il canale - salvo piccoli appezzamenti terzi - risultava sostanzialmente diviso in due proprietà  dalla strada: a sud erano stati riedificati edifici rurali con annesse abitazioni stabili dalla famiglia Riccoboni mentre sottostrada, a nord, erano invece insediati i Maini con abitazione, seccatoio e appena sotto, la cascina con la stalla. Queste due famiglie, poi imparentate, sono quelle rimaste a Linari più a lungo.
Maini Severino e la moglie Riccoboni Clementina, che vediamo nella foto seguente, lasciarono i luoghi solo verso il 1973.




Più avanti, poco dopo la fine della strada grande, si entrava in una bella piana a prato contornata da grossi castagni dove era la casa "d' Bucion' cioè della famiglia Rizzi; l' edificio è coevo ai precedenti e venne costruito da Rizzi Luigi e utilizzato parte a seccatoio, parte a ricovero animali e parte come residenza semi permanente. Prati e boschi della proprietà erano allora al limite del territorio di Linari, si spingevano infatti a ridosso del Rio degli Strinati, corso d'acqua che segna l'inizio del cantone delle Bratte.

Il Rio degli Strinati merita un cenno in più perché è un corso d’acqua di particolare rilievo per i bisogni del territorio grazie alla sua portata che tende a superare la stagionalità di molti altri canali, infatti ancora adesso è difficilmente in secca. Nasce in due rami poco sotto le Spadene, si unisce in un corso unico e scende verso Linari poi si abbassa fino a Buca Cappello ed attraversa la strada di Barcola: è proprio qui che si divide in due rami distinti e cambia di nome. Il primo ramo, nominato Rio del Mulino, scende in Rasola attraversandola per dirigersi a Sotto Barcola dove finisce in parte nel Rio della Brugna. L’altro ramo – che era il maggiore come portata - diventa Rio di Rompianasco per finire nel Cogena in Roncostiva.


Monolite inserito in un muro a secco. Possibile termine lapideo.

Il centro di Linari,quello che si vuole ricostruito sullo storico, nel luogo cioè del nucleo originario, viene usualmente e concordemente collocato dopo il Rio di Linari, in quel pianoro prativo posto a sud dell’antica strada all'interno del muro in pietra che in parte ne rappresenta ancora oggi il chiuso.



La fotografia mostra il muro alla fine del quale terminava anche l'antica strada.

Al centro del pianoro, delimitato all'intorno da un muro di sostegno in sasso, c'è un rialzo, una sorta di terrazzamento di forma semicircolare allungata, in fondo al quale sono ancora ubicate strutture in pietra, di ricostruzione prevalentemente ottocentesca, restaurate a partire dagli anni 90 del secolo scorso.
Ed è proprio qui che la tradizione vuole gli edifici dei frati.



E intorno, nei boschi, i relitti della vita montanara del passato: muri di recinzione, tracce di piccolissimi coltivi abbandonati, noccioleti nel loro chiuso, resti o solo indizi di capanne di pietra.
Scoprire questi segni e imparare a leggerne il fascino profondo rende più fecondo il pensiero e regala splendide emozioni.






Fino alla prima metà  degli anni 70 del novecento qualcuna delle case del piccolo borgo era ancora abitata, i prati erano curati come un giardino, i muri a secco - costruiti con una sapienza ormai dimenticata -   segnavano i confini delle proprietà  o  sostenevano le zone terrazzate. Grandiosi alberi di castagno  davano il senso della maestà   della natura. Le mulattiere erano ancora ben manutenute e unitamente ai sentieri costituivano una rete viaria di incredibile completezza e priva di ridondanze. L'abbandono della montagna ha messo a dura prova delicati equilibri: i prati e i boschi non più custoditi con quotidiana pratica, ma solo sfruttati per quello che potevano dare, si sono avviati ad un lento declino difficile da arrestare. L'abbandono ha fatto i suoi danni ma non è riuscito a cancellare tutto.



Della suggestiva bellezza è  rimasto  ancora tanto per chi  sa cogliere la magia del luogo, per chi arriva in silenzio e con il rispetto  e la soggezione che si conviene entrando negli antichi boschi.  Chi si avvicina con questo spirito può anche scoprirne i segreti che sono tanti ma non a tutti percettibili.
Nel bosco vecchio si avverte che c'è sicuramente qualcosa di grande che governa i profumi, le luci, i suoni, i silenzi e i colori. A Linari c'è un'ora del tardo pomeriggio ancor più magica delle altre: è alle soglie dell'imbrunire. Anzi, l'espressione più efficace è "...sul far della sera".  Allora, si avverte il morbido respiro dei boschi e di tutta la natura che con saggezza si prepara a conchiudere un giorno: è una sensazione che avvolge i sensi ed invita a dimenticare gli inutili affanni, a riposare il corpo e la mente, ma soprattutto a riconciliarsi con se stessi e con il mondo a cominciare dagli altri uomini che la ventura ci ha messo vicino.




Linari, a prescindere da quanto si ricava dalle considerazioni di tipo toponomastico che sono state proposte in precedenza, segna una sorta di confine fra  i territori abitabili caratterizzati da alloggi permanenti e quelli che per inospitalità  del clima l'uomo utilizzava con alloggi temporanei perchè non poteva abitarvi tutto l'anno. Fino a qui, verosimilmente, arrivavano gli insediamenti stabili che sono sorti e poi scomparsi per risorgere e nuovamente scomparire nei secoli passati. Gli edifici più in quota erano esclusivamente stagionali, occupati cioè solo con la buona stagione quando c’era cibo fresco per l’uomo e per i suoi animali.



Così avveniva anche a Caselle Bruciate - centro del 'Cantone delle Bratte' - dove la famiglia Spagnoli aveva abitazioni semipermanenti con stalla e seccatoio, che grosso modo risalgono alla medesima epoca degli edifici di Linari. Nell’ immagine che segue vediamo la mamma di Dario Spagnoli, fotografata nel cortile a fianco della casa.




Anche qui gli edifici in pietra sono stati sottratti al disfacimento dell'abbandono, restituiti all'uso e quindi alla vita, resi allegri con la nota festosa e beneaugurante dei vivaci gerani alla finestra.




Essiccatoi.
Per la gran parte quindi, dopo Linari, si trovavano delle caselle 'seccatoio' posizionate all'interno dei castagneti, costruzioni dove le castagne raccolte venivano stese su dei graticci in legno sotto i quali ardeva un fuoco lento e costante alimentato con cura per circa tre settimane e accudito più volte al giorno.



Ad essicazione avvenuta le castagne venivano sgusciate, mondate e poi portate ai mulini per farne farina.


La fotografia che precede risale al 1938 e mostra la mondatura delle castagne secche come avveniva nel territorio.





C'erano poi delle piccole costruzioni, come quella che vediamo nella fotografia che segue, destinate a ricovero provvisorio per il governo del bosco oppure per la cura stagionale del bestiame.






Carbonaie.
C’erano anche spiazzi dove veniva esercitata una delle arti montanare: l’antichissimo mestiere del carbonaio.



Già nel castagno si potevano trovare piccole piazzole per la produzione del carbone ma è nella faggeta che queste diventavano più ampie aie carbonili.
I carbonai facevano tagli di diradamento oppure attingevano a materiali di scarto degli esboschi, eseguivano cioè un prelievo di grande compatibilità ambientale ed economica. Se questo avvenisse anche oggi avremmo i boschi puliti come giardini. Si costruiva la carbonaia seguendo una tipologia strutturale sostanzialmente uguale da sempre e in tutto l’appennino: quello che cambiava era l’arte dei piccoli particolari che sfuggivano all’occhio dei più ma che potevano influire sulla buona riuscita del prodotto finale. I pezzi di legno venivano disposti in cerchio e via via sovrapposti fino a costituire un cono schiacciato, una sorta di semisfera intorno ad un camino centrale. La copertura con foglie e terriccio completava il lavoro e cominciava la cottura che durava circa 15 giorni.





C'erano anche caselle (o "capanne") per intere famiglie che lavoravano il legno di faggio con rudimentali torni e altri attrezzi per ricavarne stoviglie, piatti o ciotole. Li chiamavano, questi ultimi, "...tornitori bergamaschi" che acquistavano grossi alberi di faggio e li abbattevano per poi lavorarli sul posto.